Quel che resta del cielo

“Volevo ritagliare l’azzurro del cielo.” (Carlo Scarpa)

Quando si è piccoli, si osserva il cielo come fosse una grande distesa di azzurro senza inizio e fine, una maestosa lavagna intoccabile e inutilizzabile, che impariamo ad ammirare naso per aria. L’uomo plasma la terra, costruisce e configura lo spazio circostante in funzione delle sue necessità, rapportandosi sempre e comunque con una copertura mutevole ma immutabile. Proprio l’architettura in questo dialogo, diventa valore aggiunto, strumento di trasformazione non solo dello spazio terreno ma anche di quello aereo, capace di costruire anche in negativo, definendo il vuoto e circoscrivendolo. I nostri muri, i nostri edifici, qualsiasi elemento architettonico e urbano diventa parte di questo confine disegnato, demarcazione tra costruito e non. Porzioni di cielo strappate dalla città, circoscritte in particolari geometrie che si caratterizzano proprio per le valenze architettoniche della città stessa. Da questo incipit è nato il progetto “Quel che resta del cielo”, un piccolo atlante geografico alternativo, che descrive città e contesti urbani partendo proprio da questi negativi celesti. Il progetto è nato nel 2012 ed è tutt’ora in sviluppo. Le prime opere sono state realizzate con la tecnica del monotipo, altre ad olio e acrilico, ma dal 2015 il progetto prosegue e si caratterizza per l’uso della cianotipia. Quest’ultima è un’antica tecnica di sviluppo fotografico, basata sulla combinazione di composti chimici (ferrico ammonio citrato e potassio ferricianuro), che rendono il supporto sul quale vengono giustapposti, fotosensibile. Una volta sviluppata, l’immagine assume la tipica colorazione blu che contraddistingue le stampe.